Zeit Magazine – 04.05.2017 – N° 19
"ERO VERAMENTE DISTRUTTO"
Da decenni Nick Cave canta di dolore e di morte. Due anni fa suo figlio ha perso la vita. Come riesce a gestire tutto questo?
di Christoph Dallach
La cucina in casa di Nick Cave è così ampia che sembra una sala da ballo, i soffitti sono alti e decorati con stucchi. Sulla lunga credenza poggia un giradischi, alle pareti sono appesi ritratti e fotografie del padrone di casa. Ovunque si vedono accatastati volumi pieni di segnalibri, nella stanza ci sono alcune borse in tela con il logo del New Yorker. Dalla finestra aperta entra, portato dal vento, il grido dei gabbiani... a Brighton è una luminosa giornata di primavera. Cave vive in una delle sontuose ville bianche, allineate a ornare il lungomare. L'artista è alto, magro e indossa come di consueto un abito nero sopra una camicia bianca. Dopo aver messo in infusione del tè verde, torna con sguardo severo al grande tavolo in legno.
Mr Cave, lei è nato in Australia, ha vissuto a Londra, Berlino e San Paolo... cosa l'ha fatta davvero fermare nella località balneare britannica di Brighton?
Capisco dove vuole andare a parare: un tempo Nick Cave era un animo inquieto, ma ora - vecchio e noioso - si è ritirato in questa tranquilla città balneare per vivere in pace con la sua famiglia. Giusto? A mio avviso è una sciocchezza, perché prima di tutto Brighton non è così tranquilla e in secondo luogo non è l'ultima fermata per me, ma solo una tappa durante il viaggio verso la prossima meta. Qui sono stato bene e sono rimasto più a lungo di quanto pensassi, ma ora è arrivato il momento di proseguire. L'anno prossimo andrò con la mia famiglia a Los Angeles. Da questi viaggi tra un luogo e l'altro traggo l'ispirazione necessaria, che utilizzo poi nel mio flusso di lavoro.
Suo figlio Arthur ha perso la vita qui vicino, a 15 anni, in seguito alla caduta da una scogliera. È anche questo un motivo per lasciare Brighton?
Beh, gioca un ruolo naturalmente. Un evento così tragico ti cambia drasticamente la vita. Farà bene a tutta la famiglia stabilirsi in una città diversa.
Nel documentario "One More Time With Feeling", girato poco dopo la morte di suo figlio, lei dice di apparire sempre lo stesso esteriormente, ma di essere diventato un'altra persona dal punto di vista interiore. Come possiamo figurarci questo cambiamento?
(Lungo silenzio) Alcune cose non cambiano. Alla fine si lavora di nuovo. La vita deve pur sempre andare avanti. (Un lungo sguardo dalla finestra verso il cielo). Tuttavia, ogni cosa è diversa. Le persone mi dicono di non riuscire a immaginare come possa sentirmi. Ma si sbagliano. Credo che chiunque sia in grado di immaginare, a modo suo, quanto si possa soffrire dopo una simile tragedia. Sono molte le persone che hanno subìto perdite del genere, e quando qualcuno mette in luce questo tipo di sofferenza non si sentono più così sole e senza speranza nel loro dolore. La cosa più difficile, in realtà, è andare avanti. Ritrovare in qualche modo un ritmo di vita. Riuscire a mettersi seduti e lavorare è pur sempre un inizio.
Quindi anche scrivere canzoni ha contribuito a tenere sotto controllo il dolore?
Sì, scrivere ancora testi e canzoni ha rappresentato un inizio. Ma prima di arrivarci, c'è stata una lunga strada.
Dopo la tragedia ha intitolato l'album in progetto con i The Bad Seeds "Skeleton Tree". Pensa che questo lavoro abbia rappresentato più una liberazione o un peso?
Entrambi. In un primo momento è stato molto, molto difficile. Credevo davvero di essere pronto, ma non era così. Ero completamente distrutto e avevo sottovalutato tutto. Ciò nonostante abbiamo cominciato, ma i risultati non sono stati soddisfacenti. Scrivere qualcosa senza che arrivi questa grande nube nera ad oscurare tutto non è così semplice. Leggere i propri testi e ritrovare la tragedia ovunque tra le righe non fa bene. Bisogna superare questo stato, e al tempo stesso rimanere onesti e non ignorare le tenebre presenti nella propria vita. Non è facile. Per me scrivere significava anche, soprattutto negli ultimi anni, articolare in qualche modo il mio equilibrio interiore. Mentre scrivo canzoni mi rendo conto di come mi sento e scopro cose su di me che prima non mi erano note. Ora devo vedere come io stesso riuscirò a lasciarmi alle spalle l'io che ha scritto Skeleton Tree, perché questo disco rappresenta uno stato d'animo che devo lasciare dietro di me. Per farla breve, la mia esistenza gioca un ruolo fondamentale nei miei testi. Alla fine io sono solo con il mio lavoro in qualsiasi stanza: che si tratti di Brighton, Los Angeles o Berlino non fa grande differenza.
In passato, però, ha detto anche che il soggiorno a Berlino le ha cambiato la vita.
Ho detto questo? (Ride) Dovrei ricordarmi molto meglio delle mie vecchie dichiarazioni. Oh, mi piace contraddirmi ogni tanto! Ma gli effetti che tutti i luoghi in cui ho vissuto avrebbero dovuto avere sul mio lavoro, sono rimasti a me ignoti finora. Naturalmente queste città mi hanno influenzato, dubito però che mi abbiano cambiato.
E così Berlino è stata solo una tappa come le altre città?
Sì, ma Berlino è stata anche qualcos'altro a dire il vero. Quando a metà degli anni ottanta sono passato da Londra a Berlino, ero completamente a terra. Dovevo prima di tutto recuperare il rispetto per me stesso.
Cosa le era andato storto a Londra?
Praticamente tutto. Il fatto è anche che avevo un'idea della città molto lontana dalla realtà. Quando sono arrivato lì con la mia band, mi aspettavo di vivere un'avventura fantastica... e che mi sarebbero accadute cose meravigliose come artista. Fu un grande errore. Ero deluso e arrabbiato con la società nel suo complesso, così come nei confronti del nostro pubblico. Ci sentivamo incompresi a Londra. C'era anche il problema che venivamo dall'Australia, visto che a parere degli inglesi dall'Australia arrivavano solo rottami. Per noi australiani, però, l'Inghilterra era la terra promessa della cultura. Un errore: Londra era morta e buia.
Il suo malumore era leggendario, allora. Era colpa solo di Londra e degli inglesi?
No, il malumore me l'ero portato dietro dall'Australia. Lì, io e la mia band ci eravamo già scontrati con un sacco di porte chiuse. Ricordo i primi concerti nei pub, dove venivamo ingaggiati solo in quelli che potevano rimanere aperti più a lungo. In Australia vigeva infatti una strana legge che proibiva ai pub di vendere alcolici nel pomeriggio, ad eccezione che offrissero anche musica live e qualcosa da mangiare. Qui entravamo in gioco noi. Ai gestori dei pub e agli avventori la musica era del tutto indifferente, desideravano solo continuare a bere indisturbati. Così le mie prime esperienze in concerto le ho fatte di fronte a un pubblico che non era minimamente interessato a noi. E lo faceva anche capire chiaramente. Quello che mi rimase addosso fu questo sentimento di essere reietto, indesiderato, guardato con ostilità: il presupposto ideale per prendere la posizione di outsider. E questo atteggiamento mi ha effettivamente accompagnato fino ad oggi.
Ma sembra che abbia sempre avuto un certo piacere per le sfide, o no?
Ok, beccato... diciamo che si trattava di un'arma a doppio taglio. In effetti, per certi versi, mi sono anche goduto tutto questo odio. Ma in realtà durante quegli anni mi sono sentito bene solo a Berlino. Lì incontravo artisti con cui sentivo di avere qualcosa in comune, ognuno sembrava avere dei progetti eccitanti e sprizzare idee da tutti i pori. E non importava quanto davvero avessero di eccitante questi progetti. Berlino in quel momento era ispirante in modo unico.
Si stabilì a Kreuzberg. Cosa la portò proprio lì?
Il mio amico Christoph Dreher, che all'epoca aveva una band - Die Haut - viveva a Kreuzberg. Aveva dato ospitalità a me e ad alcuni altri membri della band nel suo appartamento, dove poi in realtà io sono rimasto qualche anno. Era uno di quegli enormi, vecchi edifici. Presumibilmente l'affitto non era molto alto, ma per l'esattezza non ne avevo idea... non ho mai pagato affitti a Berlino.
Che effetto le faceva, allora, il muro di Berlino?
Trovavo il muro stranamente affascinante. Come band abbiamo sempre girato al largo dalla politica e, in quanto australiani, trovavamo tutto alquanto strano. Semplicemente non capivamo a cosa dovesse mai servire il muro. Rispetto all'Europa, in Australia tutto era molto più pacifico, per noi era assolutamente incomprensibile che le persone che volevano oltrepassare il muro venissero uccise. Percepivamo che in qualche modo a Berlino si era “confinati”, e lo trovavamo emozionante. Ma tutti i problemi e l'eredità della storia tedesca non erano una mia preoccupazione a Berlino. Lì sono rinato.
Com'era una sua giornata a Berlino?
Per lo più mi barricavo in stanza e concepivo nuova musica. Quando la cosa diventava troppo intensa, facevo delle “gite” nel mondo esterno. Ex 'n' Pop era un club dove passavo spesso del tempo. Oh, e anche il Risiko, un piccolo locale nelle vicinanze, era fantastico... sempre stracolmo di persone belle e creative. E lì il barista era Blixa Bargeld... quindi per me le bevande erano tutte offerte dalla casa. Ho bevuto una quantità incredibile di vodka, magnifico!
Finora ha pubblicato 16 album con i Bad Seeds, scrive romanzi, racconti, pièces teatrali, sceneggiature, colonne sonore. Si dà delle regole rigide sul tempo di lavoro?
Per me esiste sempre un giorno d'inizio, a partire dal quale mi concentro solo su un determinato progetto. Mi alzo verso le sei del mattino, preparo una grande brocca di caffè e vado nel mio studio. Lì aspetto che mi accada qualcosa. Se in un primo tempo non succede nulla, comincio a leggere e appunto quello che mi passa per la testa. Non è importante quanto sia buono quello che scrivo in quel momento, si tratta solo di andare avanti. In sostanza, quando sto lavorando a un progetto, scrivo dalla mattina alla sera.
E come scrive?
Scrivo tutto a mano su un quaderno, piuttosto all'antica. A fine giornata metto semplicemente la data, e poi il giorno dopo si prosegue. (Prende un quaderno scuro rilegato in cartone, sul tavolo, e lo sfoglia), qui scrivo quello a cui sto lavorando giorno per giorno. Ecco, guarda, l'ultima frase: "Happy people and they were Nazis" - non ho la benché minima idea di come ci sia arrivato.
Questa frase la sentiremo nel suo prossimo album?
Ne dubito. Mi suona troppo strana. I quaderni però li conservo tutti, occupano molte scatole. Riempio di idee almeno due di questi quaderni per album.
La sua famiglia può disturbarla mentre lavora?
Non sono affatto suscettibile su questo punto. Mi fa felice quando mia moglie o i miei figli piombano in stanza. Tutti questi luoghi comuni sulla calma assoluta come presupposto per grandi idee non si applicano a me. La mia speranza è riposta solo in quella singola frase, dalla quale posso poi proseguire. Ma può volerci un'eternità prima che salti fuori una "linea magica". Ogni linea utilizzabile è una vittoria. Non devo nemmeno capire cosa significa, a volte scopro il senso di una canzone solo mentre la canto su un palco.
È appena uscita "Lovely Creatures", una raccolta delle canzoni che ha registrato negli ultimi 33 anni con la sua band, The Bad Seeds. Deve essere interpretata come la fine di un'era e l'inizio di qualcosa di nuovo?
Difficile da dire. Non la sento come una fine. Ho assolutamente intenzione di continuare a fare dischi. Non avrei mai pensato di poter arrivare così lontano con una tipologia di musica che è sempre stata un po' provocatoria. Fatto che naturalmente non è da attribuire solo a me, ma anche ai Bad Seeds.
La maggior parte dei gruppi rock sono composti da quattro musicisti, i Bad Seeds sono sei, a volte anche di più. Per quale motivo? Per avere più forza?
Buona domanda. (Ride) Non si tratta tanto di forza, quanto di lealtà. Questa band, per me, è parte della mia stessa famiglia. Abbiamo percorso una lunga strada insieme, e in qualche modo nel corso del tempo siamo diventati sempre di più. La formazione cambia continuamente, ma questo non è un problema. Chi lascia la band rimane parte della famiglia e se vuole tornare è sempre benvenuto. Blixa non c'è più, ma se avessi bisogno del suo modo di suonare la chitarra per un determinato pezzo, non sarebbe un problema invitarlo di nuovo. Tuttavia, adesso stiamo cercando di tenerci il più lontano possibile dalle maledette chitarre. Le chitarre non devono più dominare questa band.
Che problema ha con le chitarre?
Il problema è che, in fin dei conti, le chitarre rappresentano sempre questo cliché del sound rock. Su questo punto alcuni non concorderanno, ma secondo me la chitarra finisce sempre per portare al rock 'n' roll. Abbiamo prodotto un sacco di dischi rock nel corso degli anni, ma ora trovo liberatorio esplorare nuovi territori musicali. È anche piuttosto insensato fare musica rock quando tu stesso non la ascolti mai. E, in fondo, io non sono un cantante rock... la mia voce non si adatta facilmente a questo stile, (ride) direi che non sono proprio Kurt Cobain.
Una delle sue cantanti preferite è Karen Carpenter, che ebbe grande successo negli anni settanta con il duo musicale easy-listening The Carpenters. La sua musica potrebbe anche essere definita come "anti rock 'n' roll", giusto?
Sono vere entrambe le affermazioni: mi piace il suo modo di cantare, che è davvero anti rock 'n' roll. Karen Carpenter aveva la voce più triste che abbia mai sentito. C'era qualcosa nel suo cantato che dava un'aria malinconica anche ai pezzi più ottimisti. Questo mi ha profondamente toccato in gioventù, e anche influenzato
Si dice che lei adori anche il compositore Burt Bacharach, anch’egli liquidato da molti come easylistening.
Vero, lo stimo molto perché è un cantautore incredibilmente bravo. Ammiro in modo particolare tutti questi grandi cantautori della vecchia scuola... si muovevano a un livello che sta ben oltre il puro mestiere: erano in grado di richiamare a loro qualcosa che è dato solo a pochissimi.
Riesce a descrivere con più precisione questo "qualcosa"?
(Lungo silenzio) Non ho alcun problema a definirlo "un dono di Dio". Quando si crea qualcosa di nuovo, c'è questa zona in cui le cose nascono, per cui non è più sufficiente solo il puro mestiere. Da dove vengono? È qui che per me entra in gioco Dio. Anche perché è abbastanza comodo, in genere, rivolgersi a Dio per domande a cui non c'è davvero risposta.
Ha fatto riferimento più di una volta al termine portoghese "saudade", una sorta di malinconia, che caratterizza molte canzoni di bossa-nova. Da dove viene la malinconia di molti suoi pezzi?
Questa malinconia è sempre stata dentro di me, e la musica che riesce a catturarla mi ha sempre circondato. I testi delle canzoni country mi parlavano, in particolare, raccontando di nostalgia, dramma, morte, dolore, angoscia e di tutti gli altri stati di sofferenza. Non so però dire da dove venga il mio gusto per le cose tristi. La faccenda non si limita alla musica, tutto il mio orientamento di base è malinconico.
In accordo con la sua malinconia, lei e i musicisti dei Bad Seeds indossate quasi sempre completi neri. È un modo per mostrare il dolore anche esteticamente?
Volevo andare in giro in abito già da ragazzo. Gli abiti per me sono sempre stati un'espressione della mia personalità, ma anche una divisa che indosso al lavoro. Tramite i miei abiti faccio sapere al mondo che sono una persona che lavora.
Poteva permettersi di farsi fare un abito da adolescente?
No, ma tanto più ne desideravo uno. Di tanto in tanto riuscivo a racimolare un po' di soldi per un abito usato. Il primo vestito completamente su misura ho potuto permettermelo quando avevo vent'anni. Però non ho mai dato grande valore alla sartoria di lusso, anche se oggi potrei permettermela. I miei completi non costano molto, ma ottengono il loro scopo.
Sì è persone diverse quando si indossa un abito?
Se indossassi una tuta, avrei la sensazione di essere già arrivato dove volevo arrivare. L'abito mi trasporta in un luogo dove ho il potere di esprimermi. Trovo che gli abiti rappresentino anche una forma di rispetto per il proprio lavoro. (Si spinge indietro con la sedia, guarda sotto il tavolo i jeans del suo dirimpettaio e ride) Indossa sempre i jeans al lavoro? E le scarpe sportive? Sta comodo?
Assolutamente.
Se piace a lei, è fantastico. Io non potrei andare in giro in quel modo.
Nemmeno in casa?
Da qualche parte dovrei avere una felpa simile. Davvero. (Ride) Ma non riesco a ricordare quando l'ho indossata l'ultima volta.
Se uscisse dalla porta vestito così non la riconoscerebbe nessuno.
Vero, devo tenerlo a mente. Ma, a parte gli scherzi, cosa c'è di più comodo di un abito? Perché non dovrei indossare un completo quando vado al cinema o al ristorante la sera? Non sono il tipo che dopo il lavoro indossa una tuta da jogging e si mette seduto davanti alla televisione, con una lattina di birra, a guardare una partita di calcio. E di televisione ne guardo, anche molta, solo che lo faccio in abito.
E cosa si guarda in televisione con indosso l’abito?
Documentari, serie TV. Non ho mai guardato una partita di calcio. Se un giorno dovessi mettermi a guardare il calcio in TV, probabilmente non indosserei più l'abito. Quindi il mio vestito è anche indice del fatto che non guardo trasmissioni sportive.
Sembra spesso serio e concentrato. Cosa fa davvero per rilassarsi?
Passeggiate? (Ride, sarcastico) Beh, davvero, di tanto in tanto cerco di andare a fare passeggiate. È proprio molto bello qui a Brighton. (Ride forte) Tuttavia, mi arrischio a uscire dalla porta solo poco dopo il tramonto, perché c'è più pace. Uno dei molti vantaggi di Brighton è che si viene in gran parte lasciati in pace. Vengo riconosciuto, sì, ma rispettosamente ignorato. Faccio parte della mobilia, qui. In effetti mi rivolgono la parola sempre e solo i turisti.
Dieci anni fa, in occasione del suo 50° compleanno, ha detto che si sarebbe ritirato dalle scene a 60 anni, perché non è possibile invecchiare dignitosamente come rockstar. Il prossimo autunno compirà 60 anni. Manterrà la parola?
Probabilmente in quell'occasione ero ben ubriaco. Che razza di sciocchezza! E poi, vede, non ho ancora 60 anni. Manca ancora molto all'autunno.
Il dibattito sull'età nel rock'n'roll non è decaduto da tempo?
Appunto, è cambiato tutto. Quello che in gioventù mi sembrava vecchio, ora passa per giovane. Perciò Rolling Stones, Van Morrison, Neil Young e Bob Dylan vanno visti come pionieri. Hanno dimostrato che è possibile proseguire in questo genere, negli anni, senza perdere la dignità: sono tutti musicisti della tradizione ancora in attività, senza limiti anagrafici. Perché dovrebbero smettere?
Purtroppo la musica non sempre migliora con gli anni, giusto?
Questo è del tutto irrilevante. È ispirante vedere così tanti musicisti in là con gli anni ancora negli studi di registrazione e in tour, anche fino alla morte, come Lou Reed o Leonard Cohen. Era stupefacente nei suoi ultimi concerti. Questo è qualcosa che ammiro.
Jonathan Lethem, una volta, ha scritto che la sua voce suona come quella di qualcuno "inaffondabile". Sa cosa intende dire con questo?
Inaffondabile? Forse. Mi piace. Tuttavia devo imparare ad essere ancora più forte. E non è così semplice. Ma altrimenti non si può sopravvivere... e poi si affonda, no?
Traduzione a cura di Elisa Polly per NickCave.it