Non molti rocker possono permettersi di passare i cinquanta restando sottili come giunchi, tingersi i capelli (per non parlare dei baffi) nero corvino e indossare completi da scherano di un film di Sam Peckinpah rimanendo credibili. Ma Nick Cave, vuoi per il magnetismo sulfureo che non ha eguali nel rock contemporaneo, vuoi per il metabolismo stupefacente (come le sostanze, da lui assunte in quantità industriali) vuoi per l'oeuvre, che in trent'anni ha ampiamente trasceso la musica per allargarsi a letteratura, poesia, sceneggiatura e anche un po' di recitazione, ci riesce agevolmente. Tanto per sfuggire alla routine da scrivania, Cave è tornato in studio con una costola dei suoi fidi Bad Seeds, dove in una forsennata sessione ha partorito il secondo album della sua seconda band, i Grinderman.
Temutissimo Arcidiavolo del rock and roll, l'artista australiano è figura imprescindibile. Il circo, quell'ospizio sui generis in cui finiscono puntualmente le rockstar che hanno fatto dell'eccesso (di volume, di sostanze, di cosmetici) la propria ragione creativa, a lui non lo avrà mai: la sua aura maligna, dall'accurata scenografia e superbamente interpretata, è a prova di senescenza. Perché grazie al talento, una cultura non indifferente e a una curiosità onnivora, Cave è riuscito a conquistarsi un posto nel salotto buono dell'Arte, quello dove non è facile entrare con gli stivali incrostati di rock and roll senza attirare sguardi di sufficienza.
Con i Birthday Party, la sua prima band formata all'inizio degli anni Settanta nella nativa Australia e poi trapiantata a Londra e a Berlino, è stato pioniere di un post-punk nero come la pece e autolesionista; con i Bad Seeds, il suo gruppo successivo e attuale, ha costruito un precario ponte fra quel nichilismo e la tradizione più morbida del singer-songwriter, nella scia dei Leonard Cohen, Scott Walker e Johnny Cash, incarnando ancora oggi, dopo 16 album, questa rara ambivalenza, guadagnandosi una vasta schiera di proseliti e un plauso critico unanime e costante, naturalmente mantenendo intatte le proprie credenziali alternative. Tutto questo inframmezzato da due romanzi, di cui l'ultimo, The Death of Bunny Munro, uscito due anni fa e ripetute collaborazioni nel cinema (ha appena finito la sceneggiatura di Death of a Ladies' Man, film che deve il titolo all'omonimo album di Cohen) e si metterà presto a riscrivere il remake dell'appropriatamente sinistro Il Corvo.
Tre anni fa, per celebrare - e forse esorcizzare - il mezzo secolo, con Warren Ellis, Martyn P. Casey e Jim Sclavunos, Cave ha creato i Grinderman, una garage band dal suono aspro e tagliente come una lama, il cui approccio compositivo è diametralmente opposto: immutato l'ordine dei fattori, è il risultato a cambiare. Non sarà lo scopo ultimo dell'operazione, ma l'idea di un ritorno alle atmosfere rancide dei Birthday Party è difficile da accantonare. Come se Cave dicesse: l'età non smussa i miei angoli, li affila. Il prossimo 14 settembre esce il secondo Grinderman, un disco urlato e nodoso anche più del precedente, che lo vede alla chitarra e non al pianoforte, suo strumento d'elezione: una chitarra elettrica martoriata senza requie sopra al tappeto sonoro cangiante e allucinato di Warren Ellis e del resto della band. I temi sono i suoi di sempre: sesso, religione, morte, omicidio, lussuria, rivisitati con sempre crescente lucidità e scaltrezza. Ascoltandolo, si capisce come sul comò di Cave la linea con Belzebù sia più che mai diretta: quando lui chiama, l'inferno risponde. Il tutto nonostante una vita tranquilla a Brighton, la paternità (ha due gemelli di dieci anni con la moglie attuale, l'ex modella Susie Bick, e un figlio ventenne da una precedente unione, Jethro, che fa il modello) e l'astinenza da droghe, che dura apparentemente da un paio di decenni.
Lo incontriamo al piano superiore dell'Electric Cafè, cuore hip di Portobello Road, in compagnia di Jim Sclavunos, statura da cestista, americano di origine greco-italiana che suona la batteria sia nei Bad Seeds che nei Grinderman. Siamo il ripieno di un sandwich: il minaccioso Cave, camicia anni Settanta a righe fucsia aperta a metà sterno, gioielleria d'ordinanza a sinistra, il colossale Sclavunos a destra.
Mr Cave, com'è nato questo secondo capitolo della saga Grinderman?
«I brani sono nati durante cinque giorni di improvvisazioni dopo continui cambiamenti e avvicendamenti. Un procedimento diverso da quello tradizionale, con Warren (Ellis, multistrumentista nei Bad Seeds e nei Grinderman, NdR) che modificava i suoni e noi che cambiavamo gli strumenti continuamente».
Userebbe la parola "primordiale" (primeval) per definire questo disco?
«Direi senz'altro di sì, mi piace: prime-evil»! C'è senz'altro un'energia scura che lo attraversa. So che non dovrei usare troppo la parola «dark» perché Robert Forster (ex-cantante dei Go-betweens, band australiana di culto degli anni Ottanta, da poco diventato critico musicale, NdR), scrive nel suo libro (la raccolta di articoli The 10 Rules of Rock and Roll) che una di queste regole è "non credere mai a un cantante che descrive la propria musica come "dark"».
Non sembra particolarmente d'accordo.
«Io non crederei mai a un cantante che scrive un libro sulle dieci regole del rock and roll, punto. In ogni caso, un'energia scura che scorre dentro questo disco c'è. Non l'abbiamo cercata dall'inizio, ma ci siamo trovati a suonare dei ritmi minacciosi e sì, alla fine abbiamo realizzato qualcosa di musicalmente primordiale».
Per non usare la parola rabbia: c'è ancora una riserva di risentimento estetico nei confronti del mondo in lei?
«C'è qualcosa dal subcosciente, di onirico in questo disco piuttosto che indignazione politica. Siamo tutti arrabbiati per quello che succede nel mondo. Ma "risentimento estetico" è sicuramente un modo migliore di descriverlo... Non mi è mai capitato di scrivere una canzone perchè fossi sdegnato di qualcosa delle tante che non vanno in questo mondo, non è mai stato il mio stile».
Ci sono elementi nella sua scrittura ai quali sembra tornare con rimarchevole...
«Regolarità?»
Sì, anche...
«Solo i dilettanti cambiano».
Pensa che ci sia una possibilità di redenzione, in qualche modo, da qualche parte?
«Stavo leggendo la biografia di Miles Davis e sono rimasto colpito da questo passo: "La ragione per cui sono quel che sono è che non ricordo nulla».
Sembra tratto da quella di Ozzy Osbourne.
«Non sono sicuro che intendesse in quel modo... o magari anche sì. C'è qualcosa che scatta ogni volta che mi riavvicino a quelle cose che mi fa sembrare che sia la prima volta. Non penso mai "Cazzo, questo l'ho già fatto, quest'altro l'ho già fatto". Lo sento sempre come fresco, come se fosse la prima volta, appunto. Per me questo disco ha una personalità davvero unica. C'è qualcosa di maligno che vi scorre sotto che mi piace particolarmente. È esattamente quello che cerco quando faccio un disco: che abbia una sua completezza e non sia una mera collezione di brani, che abbia un suo carattere e personalità propri.»
L'album ha una copertina straordinaria.
«L'immagine del lupo era già nei testi. L'idea è nata da una conversazione con John Hillcoat (del cui The Proposition Cave ha scritto la sceneggiatura, NdR), che ha fatto la regia dei nostri video, la foto è di sua moglie Polly Borland (nota fotografa australiana, NdR) che è una mia grande amica. John raccontava di un coyote da lui visto a Los Angeles nel vialetto di casa di un amico in una zona suburbana. Era lì, impietrito davanti ai fari, sfinito dalla fame. Era un'immagine potente e abbiamo pensato di costruirci la copertina, mettendo qualcosa di bestiale in un contesto umano "civilizzato".
Lei ha detto una volta che scrivere una canzone è più difficile che scrivere un romanzo. Lo pensa ancora?
«Ogni volta che mi accingo a scrivere una canzone ho grande trepidazione. Quando deve uscire un disco dei Bad Seeds è sempre così. Mi chiedo: di cosa scriverò questa volta? È sempre stata una preoccupazione per me, fin dall'inizio. Coi Grinderman si crea un cortocircuito di fuga. Si entra in studio comunque senza un'idea. È così che comincia il processo creativo».
Guarda molta televisione? Spegnendo il cervello o lasciandolo acceso?
«A dire la verità guardo soprattutto DVD, ne guardo a centinaia. Guardo più o meno tutto. Soprattutto perché mi piacciono i film. Con un film puoi, sì, spegnere il cervello ed entrare per un paio d'ore dentro un mondo completamente diverso dal tuo, affidabile, completo. È questo che mi piace del cinema».
Lei una volta ha definito il cinema una forma espressiva inferiore rispetto alla musica. Lo pensa ancora dopo le sceneggiature che ha scritto?
«Il senso vero di quella risposta era che guardo le immagini in movimento in maniera diversa da come ascolto un brano, semplicemente per il gusto di sedere davanti a uno schermo, di entrare dentro una storia. So che posso farlo anche con un film da quattro soldi, anzi in questo caso è anche più facile che con un film complesso che richiede un maggior sforzo intellettuale. Posso guardare un film d'arte europeo, naturalmente, ma è una esperienza diversa, ci sono i maledetti sottotitoli, mentre guardare un film hollywoodiano qualsiasi è facile: lo butti lì, un'immagine dopo l'altra, senza sforzo e ti puoi perdere nella storia.
Il suo lavoro sembra percorrere una linea sottile tra la possibilità e l'impossibilità della fede. Ma lei è religioso oppure no?
Direi che difendo il diritto di credere nella possibilità che ci sia un Dio e continuo a pensarla così. Non sono religioso, né faccio parte di alcuna religione. Man mano che il tempo passa la fede in Dio diventa sempre più indifendibile e difficile per colpa del comportamento delle religioni stesse, sempre più corrotte e ipocrite. Ma per me avere a disposizione degli elementi del divino nelle cose che scrivo è importante non solo da un punto di vista artistico, ma anche personale. Non posso definirmi ateo insomma, ma nemmeno cristiano».
Nicholas Edward "Nick" Cave, classe 1957, è nato a Warracknabeal, una piccola città nello stato australiano di Victoria.
La sua prima band dal 1976 prende il nome di The Birthday Party. Lasciata l'Australia, stanziano a Londra e poi a Berlino Ovest (dove nasce l'amicizia fra Cave e Wim Wenders). Nel 1984, prima di implodere negli eccessi, lasceranno dietro di sé due album, Prayers On Fire e Junkyard, oltre a una leggendaria fama per le performance live, feroci e intense.
Con i Bad Seeds, formazione nata dalle ceneri della band precedente, (Mick Harvey dei BP alla batteria, l'ex- bassista dei Magazine Barry Adamson e il chitarrista degli Einstürzende Neubauten Blixa Bargeld), Cave abbandona certe asperità post-punk ma non l'energia, per esplorare forme di rock eterodosso.
Con loro registra 14 album, di cui l'ultimo Dig!!! Lazarus, Dig!!!, del 2008. Tra i momenti chiave di questa formazione: From Her to Eternity (1984), Tender Prey (1988), Let Love in (1994) e Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus (2004).
Nel contempo si moltiplicano le sue incursioni nella letteratura: King Ink, del 1988, è una collezione di versi e testi per il teatro in collaborazione con Lydia Lunch, seguita da King Ink II del 1997.
È autore di due romanzi (And the Ass Saw the Angel, del 1989 e The Death of Bunny Munro, dell'anno scorso), mentre nel 1998 ha scritto la prefazione a un'edizione del Vangelo secondo Marco, pubblicata dalla Canongate.
Cave ha anche saltuariamente recitato nel cinema: Wim Wenders ha usato più di una volta la sua musica e la sua immagine, come nel Il cielo sopra berlino (1987). Ha al suo attivo due sceneggiature, The Proposition e Death of a Ladies' Man, mentre ora è impegnato nella riscrittura del film Il corvo.
PS I terribii fiftysomething sono live a roma il 7 Ottobre, all'Atlantico. I'm going.
Di Leonardo Clausi. Fonte.